«Caro Félix, caro Phuoc, caro Amokrane, io provo, quando paragono la mia sorte alla vostra, un profondo sentimento d’ingiustizia nei vostri confronti, nel vedere come la morte, impaziente con voi, sia paziente con me … La morte è per me un’amica, non un ghoul come lo fu per voi. Mi ha tenuto compagnia durante la Seconda guerra mondiale e poi nel corso della Guerra d’Algeria, e più tardi ancora, ma ha rispettato la mia indipendenza. Essa sa che un giorno ci ritroveremo, e mi fa credito.»
È questa forse la più intensa e toccante opera di Jacques Vergès, nella quale l’irriducibile, destabilizzante Difensore dei “Già Dannati dal Grande Tribunale d’Occidente” (e, proprio per questo, della dignità di ogni essere umano), in sequenze play-back solo tessute dalla libera associazione della memoria si rivolge agli amici caduti nelle guerre contro la tirannia e l’oppressione.