Testamento de España

Una graffiante satira sul dissesto politico morale e finanziario della Nazione spagnola

A cura di Alessandra Battistelli

Da un manoscritto del XVIII secolo

Pagine 112

ISBN 978-88-98094-04-2

Prima edizione 2013

Il prezzo originale era: 15,00 €.Il prezzo attuale è: 14,25 €.

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Il Testamento de España, attribuito da una pre­­­valente tradizione a Melchor de Ma­ca­naz, ha circolato a lungo in Spa­gna fin dalla metà del secolo XVIII in forma di manoscritto anonimo e poi in rare edizioni a stampa an­che clandestine. Oggetto dei fulmini del­­l’In­qui­sizione che lo accolse nell’Índice General de los Libros Prohibidos, è una graffiante satira sul dissesto politico, morale e fi­nanziario della Nazione spa­gnola che, giunta alla fine dei suoi giorni, detta le sue ultime volontà as­se­gnan­do agli eredi un grottesco lascito. Impietoso ritratto della Spagna, «di­se­gna­to senza timidezze, con una cor­rosiva lievità che ri­chia­­ma alla mente l’atmosfera delle più riu­­scite Facéties vol­tairiane», il Te­sta­men­to ci fa anche ri­flettere sui mali politico-economici dei Paesi go­ver­nati da oligarchie parassi­ta­rie e sulla sconsolante certezza che il più delle volte, malgrado tentativi di ri­forma, ben poco è destinato a cambiare. Una gemma letteraria senza tempo, pie­na di sconcertanti analogie con il presente.

Testamento de España, sconcertanti analogie, di Pietro Di Muccio de Quattro, «L’Opinione», 21 novembre 2013

Melchor de Macanaz è un nome che dice niente a quasi tutti. È un letterato spagnolo nato nel 1670 che, per sfuggire all’Inquisizione, riparò in Francia, dove trascorse la maggior parte della vita in esilio. Richiamato in patria con un tranello, fu arrestato e imprigionato fino al 1760, quando morì, passando gli ultimi giorni in libertà. Il suo libello “Testamento de España” finge di raccogliere le ultime volontà della Spagna morente. Eppure, si tratta di “una gemma letteraria senza tempo, piena di sconcertanti analogie con il presente italiano”. Ennesima prova, come notava Sciascia, che la letteratura può essere la migliore storia e svelare la verità. Merita, ancora una volta, il plauso dei lettori la decisione di “Liberilibri” di pubblicare un simile gioiello, curato, prefato, tradotto con passione e acribia, anche filologica, da Alessandra Battistelli (Melchor de Macanaz,“Testamento de España”, Liberilibri, Macerata, 2013, pagg. 106, € 15,00).

Il testo, per quanto breve, contiene osservazioni acute di valore universale. L’autore “nomina” nel testamento tutte le entità, persone, vizi, virtù, istituzioni, che campeggiavano nella Spagna settecentesca avviata ad un ineluttabile tramonto dopo i fasti del Secolo d’Oro. C’è n’è per tutti e c’è solo l’imbarazzo della scelta. Come ogni testamento che si rispetti, la moribonda Spagna detta le clausole “in nome dell’Eternità e della Memoria” e dichiara “al cospetto del Notaio, la Storia, nominando come testimoni il Tempo e la Verità, come curatori ed esecutori testamentari l’Inganno, l’Ambizione e l’Ignoranza”. In primo luogo “lascio come attributo alla mia Nazione il dono del Malgoverno, affinché mai in nessuna epoca si possa approvare un progetto utile al Popolo, né si azzecchi quanto convenga ai miei Stati”.

“Ordino, su richiesta dell’eccessivo numero di delinquenti, che sia bandita dai miei Regni la Giustizia, affinché coloro che meritano il più rigoroso castigo vivano privi d’inquietudini, e possa ognuno campare secondo la Legge che più gli aggrada”. “Istituisco nel carattere della mia Nazione la Superbia che, in quanto madre dell’indolenza e dell’ignoranza, fisserà la sua dimora nelle terre del Regno”. “Ordino, conseguentemente, di esiliare il Merito, in modo che saranno presi in considerazione quegli innumerevoli uomini che ne sono privi e che, senza di esso, saranno piazzati in posti di favore, che sarebbe invece più esatto dichiarare vacanti. Per ovviare a tali inconvenienti, metto al bando le Università, il Corpo Militare, lo Stato, il Clero, e infine ciò costituirà un freno agli Innovatori, e ai perturbatori della pubblica tranquillità, e ci saranno due custodi alla porta: l’Incapacità e la Dissennatezza”.

“In merito all’abbondanza delle Leggi, da cui deriva un Caos indefinibile, comando che non si facciano riforme né compendi, piuttosto, se possibile, si aumentino le leggi con il pretesto di chiarirle sì che, grazie a tal confusione, resti alterato il Diritto Naturale, dubbioso il Giudice che emette la sentenza e privo di fiducia l’Imputato”. L’Epitaffio ci dice che la Defunta, “povera di saggezza”, cadde in rovina.

 

Si deve rendere perpetua l’ignoranza, madre dell’obbedienza, di Diego Gabutti, «Italia Oggi»,  31 agosto 2013, p. 7

Ordino d’esiliare il Merito» – si legge nel Testamento de España, Liberilibri 2013, pp. 112, 15,00 euro, un manoscritto del XVIII secolo scritto da Melchor de Macanaz, avversario della dinastia regnante e perciò vissuto per lo più tra esilio e galera – «in modo che siano presi in considerazione gl’nnumerevoli uomini che ne sono privi e che, senza di esso, saranno piazzati in posti di favore, che sarebbe invece più esatto dichiarare vacanti. Per ovviare a tali inconvenienti, metto al bando le Università, il Corpo Militare, lo Stato, il Clero, e infine ciò costituirà un freno agli Innovatori, e ai perturbatori della pubblica tranquillità, e ci saranno due custodi alla porta: l’Incapacità e la Dissennatezza». De Machanaz – come si legge nella bella prefazione d’Alessanda Battistelli, che ha scoperto e tradotto il testo – visse a lungo in Francia, braccato dall’Inquisizione, e a Parigi imparò l’arte dei philosophes: lo scherno filosofico, e la critica politica spietata. Pamphlet antipolitico dell’età dei lumi, il Testamento de España mette in scena la Spagna del futuro, come si scopre alla fine del libro, quando la nazione, palando ai posteri in prima persona, detta l’epitaffio latino, datato «Anno Fiorentissimo 4000», che vuole scolpito sulla sua tomba. È un espediente alla Jonathan Swift – non una profezia sul futuro della Spagna ma l’esatta immagine del suo presente. Diciamo Spagna, ma col tempo e le sventure economiche, culturali e politiche non c’è nazione della quale il Testamento di Melchor de Machanaz non sia l’identikit, come chiariscono bene un paio di citazioni, prese quasi a caso. Una citazione: «Per la Real Hacienda [L’Equispagna che raccoglieva le tasse dei possedimenti nelle Indie] si nominerà un Ministro, o un Segretario, che dovrà essere di riconosciuta abilità nel conteggiare il suo profitto. Verranno istituiti Uffici e Ragionerie in tutte le Province, con l’assegnazione di compensi adeguati al loro mantenimento, e se questi non saranno sufficienti, prendano pure, con moderazione, tutto ciò che gli servirà, computandolo tra le spese straordinarie, e facendo scomparire alcuni zeri da quanto percepito dalle contribuzioni. E riguardo a queste ultime, se ne impongano il più possibile, per accrescere l’Erario Reale e per l’attuazione di quella consacrata norma che fonda la tranquillità dei popoli sulla loro povertà. Si esigano imposte con maggior rigore, e quando i Vassalli non avranno di che pagare, si vendano i loro effetti personali e il mobilio, e se fosse necessario anche i loro letti e le loro dimore; e quando nemmeno queste cose basteranno, si potrà istituire un Commercio di Uomini, vendendoli agli Algerini, come si fa in America con i Negri della Guinea».
Altra citazione: «Avendo già disposto tutto quanto riguarda ogni mio singolo bene, solo mi sia accordato d’esprimere ancora alcuni avvertimenti, che toccherà ai miei eredi eseguire, e che sono i seguenti. I. Che essi non mettano in pratica le Leggi che prevedono pene rigorose contro il furto, perché, in tal caso, il numero di Boia e di Patiboli sarebbe insufficiente per un numero così sconfinato di delinquenti. E poiché tra questi ve ne sono molti appartenenti alle alte gerarchie, verrebbe infangato il lustro delle loro famiglie, e dell’intero Regno, a causa delle esecuzioni del castigo. II. Che non giungano alle orecchie della Corte i tristi lamenti dei Popoli che, gravati dalle contribuzioni e afflitti per le estorsioni e le angherie dei Ministri Reali, piangono il proprio deplorevole stato nel silenzio della loro oppressione. III. Che si scacci dai miei Regni, e si tratti come stravagante (così come ho stabilito) quel progettista che oserà proporre lo sviluppo di strade, di boschi, di mezzi di navigazione, di canali e la fondazione di Ospedali e Pii Istituti. IV. Che siano bruciate pubblicamente le Stamperie, affinché si renda perpetua l’ignoranza, madre dell’obbedienza, e qualora se ne risparmiasse qualcuna per qualche privilegio personale serva essa solo a stampare romanzi, calendari e novelle per lo svago degli oziosi. V. Nell’ambito delle Scienze, non si facciano innovazioni di sorta, poiché siamo più progrediti dei nostri predecessori, i Goti, i quali, dopo aver introdotto l’ignoranza in tutta l’Europa, presero dimora in Spagna; e dobbiamo conservare le preziose massime (che ci vengono dalla loro ignoranza), per trarre frutto dall’antichità delle nostre origini e dei nostri costumi». Ultima citazione: «Le Scienze si fondano su un’irrancidita Filosofia aristotelica, con la quale, a loro dire, si può esercitare e render più sottile l’ingegno, in un caos di leggi e grazie a un prontuario di Sentenze; la Teologia si studia secondo principî dettati dalla paura, non secondo quelli dettati dalla Ragione, suddivisa in fazioni di Tomisti, Suaristi e Scotisti che sono in guerra aperta per screditarsi mutualmente, e non si tratta di mere dispute «scolastiche», bensì di rancori dovuti a inimicizie che bloccano la società e la vita civile; nelle aule e nei cortili ha maggior ragione quello che, a pieni polmoni, la rafforza alzando la voce. […] Il Sapere si misura secondo i gradi delle qualifiche Universitarie, non secondo i gradi dell’assidua preparazione e della conoscenza, e questi titoli sono così degni di rispetto che un Diplomato, un Dottore, etc. hanno giurisdizione nel – l’ambito delle loro pretese, ed esigono plausi per la propria scienza solo in nome del loro titolo, acquisito dopo lunghi anni spesi ad accordar chitarre, a fumare sigari e a corteggiare dame. […] Della Storia sanno appena il nome, e accettano solo quella ridotta a favolette; pochi conoscono la Storia patria, e così nessuno si spinge fino alla conoscenza di quella generale; ignorano le proprie origini e la ragione per la quale obbediscono al Re che li comanda. L’Astrologia e l’Astronomia vengono impiegate per fare pronostici, e di tali nomi si avvalgono questi ignoranti tiralinee che, prescrivendo una purga, o un salasso o una semina, mietono un raccolto assai fruttuoso per le loro tasche, simulando un sapere che in realtà ignorano e abusando dell’ignoranza popolare». Non sembra il curriculum d’un parlamentare italiano? E in particolare, in tema d’astrologia e di scienze occulte, d’un Parlamentare 5 Grilli per il Capo?

 

Il testamento perduto, di Igor Santos, «ilSudEst.it», 26 luglio 2013

Ordino, su richiesta dell’eccessivo numero di delinquenti, che sia bandita dai miei Regni la Giustizia,

affinché coloro che meritano il più rigoroso castigo vivano privi d’inquietudini, e possa ognuno campare secondo la Legge che più gli aggrada.

 Ordino […] di esiliare il Merito in modo che saranno presi in considerazione quegli innumerevoli uomini che ne sono privi e che, senza di esso, saranno piazzati in posti di favore […]

 In merito all’abbondanza delle Leggi, da cui deriva un Caos indefinibile, comando che non si facciano riforme né compendi (come è stato fatto in certi paesi stranieri), piuttosto, se possibile, si aumentino le leggi con il pretesto di chiarirle sì che […] resti alterato il Diritto Naturale.

I frammenti citati, parti di un’opera intitolata “Testamento de España”, non sono stati scritti oggi, nonostante sembrino criticare l’agenda politica di ogni governo italiano. Non sono, nemmeno, una acuta radiografia della politica spagnola degli ultimi due secoli. No. Il suo autore, Melchor Rafael de Macanaz -ma quella della sua paternità è questione aperta; opere di questo genere furono scritte in un periodo di turbolenze politiche in cui i pamphlet di autori diversi giravano di mano in mano, manoscritti o stampati, con l’obiettivo di ridicolizzare la situazione di un paese ingiusto, esausto dai conflitti bellici- nacque nel 1670 in Hellín (Albacete, Spagna) e il “Testamento” fu scritto attorno alla fine degli anni dieci del XVIII secolo.

Pensiamo per un momento che l’autore fosse stato proprio lui. La sua biografia pare rafforzare questa ipotesi. Infatti, dopo aver sviluppato un’importante carriera politica a fianco del partito borbonico negli anni della guerra di Successione spagnola, de Macanaz fu costretto ad andare in esilio, in fuga da un processo inquisitoriale intrapreso per causa delle sue critiche contro l’illimitato potere degli ecclesiastici. L’opera fu inclusa, allora, nell’”Indice dei libri proibiti” ma, per nostra fortuna, è riuscita ad attraversare le insidie del tempo tramandandoci un materiale su cui è utile riflettere.

La lettura del “Testamento” appena pubblicato in Italia da Liberilibri, in una edizione a cura di Alessandra Battistelli, mostra come gli stupidi che dominano i meccanismi dei governi di ogni tempo e luogo violentino sempre la parte migliore delle loro società seguendo spartiti molto simili. Infatti, i tre passi proposti in apertura di queste righe descrivono, alla perfezione, i vizi e le contraddizioni presenti in tanti governi. Di ieri e di oggi. Ma anche del domani.

Ci resta il compito di non essere complici di tali ingiustizie. Niente più. Niente meno.

 

Testamento de España, la rappresentazione di un fallimento, di Paolo Marini, «l’Indipendenza nuova», 21 agosto 2013

Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le corporazioni. Il Testamento de España (Liberilibri,  pp. 112, € 15,00), curato dalla ricercatrice Alessandra Battistelli, attribuito (ma senza certezza) al giurista e politico spagnolo Melchor Rafael de Macanaz ed altresì di incerta data (1716, 1717 o 1756), è innanzitutto la rappresentazione di un fallimento. E se è felice la scelta dello stratagemma che dà voce ad uno Stato – appunto, la Spagna – e gli fa dettare le ultime volontà, se questa finzione letteraria è meravigliosamente intrisa di lievità corrosiva e satira feroce, al fondo è nondimeno la passione tradita, lo sguardo amaro e disincantato dell’autore. Val la pena, per darne conto, di attingere dal testo qualche brano, ad esempio in fatto di limpidità e chiarezza del diritto (“In merito all’abbondanza delle Leggi, da cui deriva un Caos indefinibile, comando che non si facciano riforme né compendi (…), piuttosto, se possibile, si aumentino le leggi con il pretesto di chiarirle sì che, grazie a tal confusione, resti alterato il Diritto Naturale, dubbioso il Giudice che emette la sentenza e privo di fiducia l’imputato”), di governo responsabile dell’Impero (“Non poco stupore suscita in Europa la sagacia del mio Consiglio nel governare un Impero tanto esteso; infatti, essendo i Consiglieri individui che a malapena hanno varcato i confini della Spagna, (…), e non avendo essi acquisito dell’America alcuna conoscenza diretta e personale, (…), ogni decisione del detto Consiglio risulta incomprensibile e incerta. Ma sappiano, quanto lo ignorano, che la scienza dei Consiglieri è infusa, e si conferisce con l’incarico.”), di lotta al contrabbando (“Ordino di accrescere il numero degli Impiegati delle Amministrazioni Doganali, dei Tabacchi, etc., per i cui posti di lavoro si sceglieranno in modo specifico i Contrabbandieri che, esperti di Frodi, nessuno potrà ingannare, e allo stesso tempo si riuscirà a strapparli da una vita rischiosa, favorendo loro i mezzi per ben proseguirla, con indosso una maschera di zelo per il Servizio Reale.”), di compiacimento per la qualità delle istituzioni

culturali, in primis universitarie (… quali quelle di Salamanca, di Valladolid, di Saragozza, di Alcalà, di Valenza, e molte altre Patrie della Presunzione, nelle quali si studia per restare ignoranti, non per apprendere; dove risiedono la sicumera e l’amore per la propria opinione. I Cattedratici insegnano ciò che non sanno, i loro Discepoli apprendono quanto dovrebbero ignorare.”).

La Spagna del XVIII° secolo muore, letteralmente, della propria superbia – madre dell’indolenza e dell’ignoranza – e nel suo sfacelo sono il malcostume e lo strapotere di Ordini religiosi e Istituzioni ecclesiali a occupare il proscenio: non stupisce che il testo abbia attirato le attenzioni assai poco rassicuranti dell’Inquisizione, che lo accolse giustappunto nell’Indice General de los Libros Prohibidos.

E come il Testamento dichiara il fallimento di una intera Nazione è automatico – quasi irriflesso – il link mentale con il tempo attuale ovvero, come osserva la curatrice, “con la situazione presente della Spagna e di tanti altri Paesi d’Europa, compreso (vorrei impietosamente dire: a partire da..), ovviamente, il nostro”. Penso anche io, per ciò, che questo Testamento sia una “piccola gemma senza tempo” e mi piace immaginare che l’Editore sia stato sospinto e come intrigato da una sorta di improvvisa afasia, di momentanea epoché, tanto da decidere di ingaggiare qualcosa o qualcuno, una voce sgorgata dal ventre della storia, a dirci che siamo ancora – e ineluttabilmente – a fare i conti con le stesse miserie.

 

Così la politica uccide l’economia. Fin dal ‘700, di Matteo Sacchi, «il Giornale», 20 agosto 2013, p. 24

Come può accadere che una delle nazioni più potenti del mondo decada dal suo rango? Come è possibile che un’economia un tempo florida si spenga come una candela messa sotto una campana di vetro? Beh, un buon inizio può essere quello di disprezzare «perché costosi, i progetti per le strade pubbliche…» esattamente come «meritano derisione quelli che vanno dicendo di poter rendere navigabili i fiumi e di poter realizzare canali». Certo poi ovviamente non ci si può accontentare, bisogna darci dentro anche a livello normativo e istituzionale: «Ufficiali o segretari di gabinetto potranno esserlo persone di qualsivoglia talento… sempre che abbiano una bella grafia». Per gli stipendi nessun problema del resto: «se non saranno sufficienti, prendano pure, con moderazione, tutto ciò che gli servirà, computandolo tra le spese straordinarie, e facendo scomparire alcuni zeri». Tanto alla fine quel che conta è tassare i cittadini: «Si esigano imposte con maggior rigore, e quando non avranno di che pagare… si vendano i loro effetti personali e il mobilio, e se fosse necessario anche i loro letti e le loro dimore…».
Vi sembra la dottrina economica Monti espressa con un linguaggio un po’ arcaico? O altrove vi ha ricordato le difficoltà che si incontrano ogni volta che c’è da snellire la burocrazia? Oppure vi sembra che il riferimento a chi non vuole strade e canali vada benissimo anche per i no-tav? No, tranquilli si tratta di un testo antico e per nulla italiano. Si intitola Testamento de España e lo ha appena ripubblicato l’editore Liberilibri (pagg. 106, euro 15, traduzione e curatela di Alessandra Battistelli). Data e autore del testo sono incerti. Si trattava infatti di un pamphlet anonimo che circolava in Spagna nella prima metà del Settecento. Deplorava il crollo economico e politico che avevano subito i regni iberici dopo la guerra di successione spagnola (1701-1714). Il testo era pieno di quel nuovo spirito liberale e libertario tipico dei lumi. La Spagna però era uno dei posti meno adatti ad accoglierlo. Da qui l’anonimato del volumetto. Anche se probabilmente l’estensore è Melchor de Macanaz (1670-1760), uomo di lettere e di diritto che appoggio la fazione borbonica e venne messo sotto processo dall’inquisizione per le sue idee eterodosse. Ora per la prima volta viene fornito nel nostro Paese con traduzione italiana. Perché proprio ora? Beh, leggere in un testo del passato assonanze col presente è sempre pericoloso. Però in questo caso, come dice l’editore in una nota, in certi casi l’unico modo di liberarsi di una tentazione è cedere ad essa.