Quando la Convenzione della Virginia si riunì a Williamsburg nel maggio del 1776, l’indipendenza americana doveva essere ancora dichiarata ma la ribellione era già in corso. In quella fase storica così delicata, un brillante (e schivo) proprietario di piantagioni della contea di Fairfax, George Mason, redasse uno dei documenti forse meno ricordati ma più influenti dell’intero costituzionalismo moderno: la Dichiarazione dei Diritti della Virginia, poi approvata da quella Convenzione il 12 giugno 1776.
L’incipit del testo, che recitava «tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi e indipendenti, e hanno certi diritti innati», ispirerà infatti molte altre carte costituzionali fondamentali successive, dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776, alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino francese del 1789, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Mason ha incarnato appieno lo spirito del tempo, ma nonostante il ruolo decisivo avuto per la nascita degli Stati Uniti è stato quasi sepolto dalla memoria collettiva, essendosi rifiutato di firmare nel 1787 la Costituzione americana, in quanto priva di un’elencazione dei diritti – aggiunta poi nel 1791 – che egli riteneva imprescindibile.
Dichiarazione dei Diritti della Virginia [1776]
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