«Definiamo Stato servile l’ordinamento di una società nella quale il numero di famiglie e di individui costretti dalla legge a lavorare a beneficio di altre famiglie e altri individui è tanto grande da far sì che questo lavoro si imprima sull’intera comunità come un marchio.»
Con queste inquietanti e lapidarie parole, Belloc scolpisce i connotati identificativi delle società evolute del nostro secolo. Capitalismo da un lato e socialismo dall’altro, a dispetto dei loro programmi inneggianti alle libertà, hanno assoggettato la massa degli individui a una nuova schiavitù. E se questi due modelli, per il resto antitetici, hanno un elemento che li fa simili, esso è l’esproprio della libertà del cittadino che entrambi ugualmente operano: il primo indennizzandone il prezzo con i lauti consumi che è in grado di assicurare; il secondo con la sussistenza e la previdenza garantite. Nella sua appassionata ma lucidissima analisi, il grande pensatore cattolico preconizza un diverso possibile assetto dell’economia, più attento alla dignità umana e poggiante su irrinunciabili fondamenti etici.