Il dibattito plurimillenario sul prestito a interesse e quello sulla fissazione per legge di un tasso massimo di remunerazione del denaro trovano in questo scandaloso pamphlet del 1787 di Jeremy Bentham il picco ancora oggi insuperato per acutezza d’analisi e radicale libertà di pensiero.
«Nessun uomo adulto e sano di mente, che agisca liberamente e con gli occhi ben aperti, dovrebbe essere ostacolato, con riguardo al suo vantaggio, dal compiere le transazioni che ritenga opportune per ottenere denaro: né … chiunque altro dovrebbe essere impedito dal fornirglielo nei termini a cui egli ritenga opportuno acconsentire.»
Con queste parole Bentham porta alle estreme conseguenze il principio dell’autonomia negoziale, suggellando la fine del lento processo di erosione dell’interdetto giudaico-cristiano contro l’usura.
Se la svolta calvinista aveva legittimato la pratica del prestito ad interesse, non era stata però seriamente contestata la necessità di un limite massimo al saggio d’interesse. Limite legale che è privo di giustificazione – dice Bentham – come lo sarebbe imporre per legge un prezzo massimo nella compravendita dei cavalli. Limite che, fra l’altro, non è uno strumento adeguato né per evitare lo sperpero del denaro da parte dei prodighi e degli oziosi né per evitare i deleteri fenomeni di strozzinaggio.