È incolmabile l’abisso che da sempre separa legalità e giustizia. Se l’ancien régime ostentava con sfrontatezza questa divaricazione, le democrazie parlamentari non hanno fatto altro che mascherare sotto una veste di decenza formale – e di ipocrisia – provocazioni, arbitrî, violenze di chi, al riparo della legge e in suo nome, dà sfogo a pulsioni sadiche e a deliri di onnipotenza.
L’oleata macchina della “giustizia”, imperniata sul tradizionale congegno di trasmissione sbirro:giudice:boia, continua a macinare i più sacri valori della persona.
Il lamento di Hugo «La galera è un’assurda mignatta che lascia riassorbire, non senza averlo reso peggiore, tutto il sangue marcio che estrae. La pena di morte è un’amputazione barbara» è caduto nel nulla.
Queste incarnate prefigurazioni dell’inferno grandeggiano ancora superbe, e contrassegnano il nostro tempo.
Claude Gueux comparve per la prima volta su «La Revue de Paris» del 6 luglio 1834. Nel settembre dello stesso anno, su richiesta di Charles Carlier, negoziante di Dunkerque, ne vennero tirate presso Evréat 500 copie con la lettera di Carlier a mo’ di prefazione.