Antifona

Il mostro dell’uguaglianza sottrae all’individuo ogni spazio di libertà. Solo l’egoismo può salvare l’individuo da questa mostruosa società collettiva.

Traduzione di Nicola Iannello

Pagine 108

ISBN 978-88-85140-58-5

Prima edizione 2003

Seconda edizione 2018

Prima ristampa 2023

Il prezzo originale era: 16,00 €.Il prezzo attuale è: 15,20 €.

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La vicenda si svolge in una società dove, in nome del­­l’uguaglianza, all’individuo è stato sottratto ogni spazio di libertà. Il processo di collettivizzazione ha realiz­zato non solo l’esproprio dei beni privati, ma anche quello del­la persona stessa. Il nome, il pensiero, i sentimenti di ognuno sono proprietà collettiva, appartengono ai “nostri fratelli”. La presa di coscienza del valore del­la diversità e dell’“egoismo” da parte dei protagonisti consentirà di abbattere questa mostruosa società di uguali. Nel panorama della letteratura distopica, Anthem (uscito a Londra nel 1938), al di là del chiaro significato filosofico e politico, rappresenta un piccolo ca­po­lavoro di scrittura per il suo scarno, pacato, denso lirismo.

“Noi”, la parola-truffa che giustifica gli abusi del collettivismo di Alessandro Gnocchi, «il Giornale», 27 ottobre 2016

Nei romanzi Noi vivi (1936) e Antifona (1938), Ayn Rand ci mostra a quale degrado possa giungere la condizione umana quando l’ideale sbagliato prende il sopravvento.

L’ideale sbagliato è il collettivismo, inizialmente declinato nella storia (Noi vivi) e dunque nella Unione Sovietica, Paese nella quale la Rand era nata e cresciuta fino alla fuga negli Stati Uniti. Ma il collettivismo è la direzione verso la quale ogni società si incammina quando si avvicina alla decadenza. Da questa convinzione discende l’idea di calare il collettivismo nel futuro distopico di Antifona (Liberilibri, introduzione di Gianfranco de Turris, traduzione di Nicola Iannello).

Nella prefazione alla seconda edizione (1946) Ayn Rand risponde alle critiche che le furono mosse, in sostanza di essere stata ingiusta con gli ideali del collettivismo. L’autrice scrive di essere ancora più sicura: «Guadagni sociali, scopi sociali, obiettivi sociali sono diventati le banalità quotidiane del nostro linguaggio. La necessità di una giustificazione sociale per ogni attività e per ogni cosa esistente è adesso data per scontata. Non c’è proposta abbastanza oltraggiosa per la quale il suo autore non possa ottenere ascolto e approvazione rispettosi se dichiara che in qualche modo indefinito essa è per il bene comune». Veniamo al romanzo. Dopo una terribile guerra, c’è stata la Grande Rinascita, definizione altisonante per un tetro mondo ove regna il collettivismo. L’individuo è stato cancellato. È proibito usare la parola io. Il mondo è tornato indietro di secoli, anche dal punto di vista tecnologico. L’uguaglianza nella completa miseria è imposta col pugno di ferro, attraverso il controllo ossessivo dei vari Consigli, ovvero i Soviet del futuro. Lo Stato decide tutto per tutti: quale sarà il nostro nome, quale lavoro svolgeremo, quale sarà il ritmo delle nostre giornate, quale donna ci darà un figlio. Il divertimento è bandito, il tempo libero è occupato dalla propaganda. Ufficialmente regna la felicità ma la paura vaga per la città, una paura avvertita da tutti. Ma un uomo si ribella e fugge…

Ci sono passaggi di singolare attualità. Quando il protagonista decide di mostrare la sua scoperta (l’elettricità!) al Gran Consiglio, si sente muovere obiezioni ideologiche che porteranno alla scelta di conservare, contro ogni logica, le vecchie candele. «Nessun singolo può avere una sapienza più grande dei molti Studiosi che sono eletti da tutti gli uomini per la loro sapienza». «Ciò che non è pensato da tutti gli uomini non può essere vero». «Ciò che non è fatto collettivamente non può essere buono». Sono parole che fanno pensare alla democrazia digitale. C’è una certa ideologia, diffusa nella Rete, che pure nasce come strumento anarchico e libertario, che qualcuno ha definito maoismo digitale. Il sapere collettivo sarebbe superiore alla ricerca individuale, perché la quantità di informazione si trasforma automaticamente in qualità. L’innovazione però continua a provenire da idee dei singoli. E Wikipedia, con la sua partigianeria, sembra smentire la perfezione del sapere collettivo. Se poi ci addentrassimo nel campo della politica, forse il pensiero di Ayn Rand potrebbe spiegare il motivo per cui votazioni e plebisciti on line non garantiscono affatto la selezione di una classe dirigente migliore della precedente. Né costituiscono un buon metodo per amministrare una volta giunti al potere.

Scrive Rand: «La parola Noi è come calce viva versata sugli uomini, che si rapprende e s’indurisce come pietra, e distrugge tutto sotto di sé, e ciò che è bianco e ciò che è nero si perdono egualmente nel suo grigiore. È la parola con cui il depravato ruba la virtù del buono, con cui il debole ruba la forza del forte, con cui gli stupidi rubano la sapienza dei saggi». Nell’epoca del politicamente corretto Noi è il grimaldello col quale truccare ogni dibattito, mascherare (e sdoganare) iniziative fintamente umanitarie e realmente ciniche, delegittimare chiunque sia fuori dal coro perché al Noi preferisce l’Io.