Fiamma è una donna cattiva, ma forse non è stato sempre così. Non le interessa la compagnia di nessuno e sopporta a fatica anche Valeria, l’unica che prova nonostante tutto a rimanerle vicina. Fiamma è afflitta da mille ossessioni e non ricorda quasi nulla. La sua mente è vuota, e solo a sprazzi riemergono in lei immagini e sensazioni legate alla sua vita precedente.
In un’incalzante successione di eventi il lettore assiste, attraverso i pensieri bislacchi di Fiamma e i fulminanti dialoghi con gli altri personaggi, all’evoluzione imprevedibile di una storia colma di dubbi, paure e disperazione.
Dispassione
La storia di una donna cattiva, politicamente scorretta, afflitta da mille ossessioni, e del suo doloroso ritorno al passato.
Pagine 240
ISBN 978-88-98094-84-4
Prima edizione 2021
Fiamma, donna ferita e cattiva. Ma in realtà troppo buona, di Cesare Cavalleri, «Avvenire», 17 marzo 2021
La parola è Dispassione, ed è il titolo del nuovo romanzo di Maria Laura Rosati (Liberilibri, pagine 252, euro 16). La spiegazione è a pagina 158: «È l’allontanamento estremo da tutto e da tutti, dal mondo, dai sentimenti. È l’indifferenza dovuta alla consapevolezza che il tempo non esiste, la realtà è un’illusione, un enigma infinito e irrisolvibile». Di dispassione soffre Fiamma, che scrive il libro in prima persona e colleziona parecchi altri disturbi: sa di essere psicopatica, psicotica, maniaca dell’igiene e poco equilibrata; è ossessiva, con disturbi di amnesia dissociativa e in parte sistematizzata, retrograda selettiva; l’amnesia dissociativa è associata a prosopoagnosia, cioè all’incapacità di riconoscere i volti. Di questo ampio elenco va tenuta in mente la prosopoagnosia (io preferisco dire “prosopagnosia”), per capire lo scioglimento finale dell’enigma del romanzo. Nonostante tutto questo, o proprio per questo, questa sessantenne che non ha mai professionalizzato la sua laurea in lettere e vive sola, senza relazione alcuna, bisbetica e ossessiva – in albergo, per prima cosa, igienizza le maniglie e gli interruttori della camera – riesce simpatica. Ha anche un altro tic: conta le lettere delle parole e delle frasi: «Mamma. Cinque; Stai calma, Fiamma. Quindici». Valeria è un’amica che la sopporta e che cerca di circoscriverla. Paola, molto più giovane, talvolta le affida per qualche ora la bambina di pochi mesi. Un giorno, Valeria la invita ad accompagnarla a un convegno, a Lecce. Lei dapprima si oppone, ma poi ci va. Mentre Valeria è al convegno, Fiamma passeggia in città e casualmente entra in un teatro dove una scolaresca sta provando la recita di Natale. Si sente chiamare: «Mamma, vieni a prendermi». La sua bambina. Perché Fiamma aveva una bambina, Pia, che a dodici anni è scomparsa. Stavano sciando, lei, il marito con cui bisticciava, e Pia a precederli con un amichetto. Incidente? È morta? Fiamma è sicura che sia viva. Fiamma è sconvolta, pianta lì tutto, prende un treno e scende, non sa bene perché, a Parma. La città le piace. Nella pinacoteca vede un disegno attribuito a Leonardo: il ritratto di un’adolescente ricciolina che assomiglia proprio a Pia. Per più giorni non si stanca di contemplare quel ritratto. Dalla finestra vede un signore con un grosso cane che, sempre alla stessa ora, sosta nel giardino che anche lei frequenta. Cerca di evitarlo, ma un giorno non può fare a meno di scambiare qualche parola con questo Pietro. Si frequentano, con l’accordo di non farsi domande personali. Pietro le presenta un amico, Vittorio, che fa strani discorsi sui mondi paralleli, mescolando psicanalisi, esoterismo e la tana del coniglio di Lewis Carrol. L’unico risultato è che Fiamma si innamora, non ricambiata, di Vittorio. Umiliata, torna nella sua Milano e lì, complice la prosopagnosia, avviene la catarsi risolutiva che affidiamo alla curiosità dei lettori. Romanzo interessante e diagonale, meglio riuscito nella prima parte, con Fiamma “cattiva”. Nella seconda parte, piange fin troppo. Come diceva Mae West, sex symbol della prima Hollywood: «Quando sono buona, sono buona. Quando sono cattiva, sono anche meglio».
Dispassione, di Viviana Filippini, «Liberi di scrivere», 8 aprile 2021
“Mi chiamo Fiamma, e sono cattiva. Non sono stata sempre così, credo, ogni tanto la mia mente ha strani ricordi, tenerezze, turbamenti, lacrime. Forse. Non ne sono sicura. Magari l’ho solo sognato. Una volta, molto tempo fa, avevo un’altra vita, poi è arrivato il vuoto”. Questa è la voce di Fiamma la protagonista di “Dispassione” il romanzo di Maria Laura Rosati edito da Liberilibri. Fiamma ci appare da subito come una donna scontrosa, cupa, che si rivolge direttamente a noi lettori facendoci capire che lei è davvero il peggio del peggio. Fiamma è e vuole restare sola, accetta solo Valeria, un’amica che sopporta comunque a fatica, mentre Paola e la piccola Claudia sono per lei un fastidio ogni volta che si fanno sentire. Quello che stupisce della donna è che oltre a non voler contatti con il prossimo, vive una vita fatta da mille ossessioni e non a caso mangia solo alcuni cibi e cucinati in un certo modo, odia la polvere e la sporcizia e teme i parassiti. Fiamma è una donna complessa e difficile, ma ha nel suo io profondo un qualcosa che la tormenta e che le impedisce di ricordare. La protagonista ha perso la memoria da tempo e non c’è verso di recuperarla, così sembra. Fiamma è affetta da dispassione (da dispassion in inglese, visto che nel vocabolario italiano non c’è), ossia distacco, e non a caso la protagonista prende le distanze da tutto e da tutti per timore, paura, per rabbia verso qualcosa o qualcuno che nemmeno lei conosce, o forse lo sa, ma non riesce a ricordarlo. Poi, un giorno, durante un viaggio che Fiamma non ha compreso perché ha fatto, la convinzione di aver perso di vista la figlia scatena in lei qualcosa. Fiamma comincia un cammino, anzi una fuga del tutto personale per cercare di capire che fine ha fatto la sua amata bambina. A complicare il tutto nella mente della protagonista arrivano ricordi improvvisi e imprecisi che la portano in un passato del quale non ricorda nulla, se non frammenti confusi e poco confortanti. Una gita in montagna con il marito e la figlia. La bimba (Pia) abile danzatrice che chiede ai genitori di andare a sciare con l’amichetto appena conosciuto. Il sì del babbo, i dubbi della mamma che parte sugli sci per cercare la figlia prima che si faccia male. Un gran caos emotivo, di ricordi e frammenti assedia la fragile Fiamma e il suo bisogno di trovare la pace la porta – e lei non sa perché – a Parma. Qui Fiamma passa giornate intere a guardare il ritratto di una fanciulla ritratta da Leonardo, a non rispondere al telefono e a evitare lo strano uomo con il cane che incontra al parco deve lei va a cercare un po’ di pace. Il romanzo della Rosati è un grande puzzle nel quale Fiamma – e anche noi lettori – passo dopo passo, evento dopo evento, prende nuova coscienza di sé rimettendo assieme i tasselli di un passato oscuro che forse non le ha lasciato ferite nel corpo, ma le ha di certo creato un abissale vuoto nelle mente. “Dispassione” di Maria Laura Rosati è una storia travolgente, dal ritmo incalzante, con dialoghi che ti trascinano dentro alla trama facendoti sentire parte del vissuto di Fiamma. “Dispassione” compie una fine e acuta indagine nella mente e nell’animo umano e la Rosati, che è medico oltre che scrittrice, conduce il lettore dentro alle fragilità umane ed emotive di una donna che ha subìto un trauma profondo che le ha rotto qualcosa dentro e l’ha gettata nella paura e nella completa disperazione, impedendole di capire che l’amore, quello costante e vero, salva. Il romanzo è tra i finalisti del Premio Campiello del 2021.
Maria Laura Rosati. Dispassione, di Rita Bompadre, «Satisfiction», 30 aprile 2021
“Dispassione” di Maria Laura Rosati (Liberilibri editore, 2021 pp. 240 € 16.00) è una meritevole opera di narrativa, selezionata al Premio Campiello 2021. Il racconto assiste la percezione di un’inclinazione psichica, sollecitando la coscienza, appassionando il lettore in un vortice emozionale di travolgente riflessione. Il libro pone l’attenzione sull’intervento letterario di rimozione dal collegamento spirituale degli impulsi, mantiene nella trama suggestiva l’attrazione per il distacco della protagonista, allontana nelle parole la resistenza del desiderio consentendo l’assenso a vivere nella disorientata resa, nel disinteresse e nell’indifferenza. L’autrice, con stile incalzante e ossessivo, insegue l’ordine naturale ed elastico del linguaggio, descrive le profonde difficoltà sostenute dalla grave alterazione dell’equilibrio mentale, esamina la spiegazione di una diagnosi nevrotica e tormentata, comprende l’impedimento del vuoto trascinato nella sospensione di connessione nell’intelletto, affronta l’intervallo della memoria e scompone il senso d’identità, disgiunge il legame originario delle esperienze sensibili. “Dispassione” è una ferita della discontinuità esistenziale, un’attenta e viscerale analisi introspettiva in cui l’interpretazione si scontra con la spietata e sregolata identificazione dei segni clinici, utilizza l’indagine di una esistenza impersonale e introversa come tramite del processo anamnestico, l’impassibilità nei confronti dell’umanità come patologia nella negazione della realtà. La sofferenza, la condizione assillante e tormentosa provocata dall’assiduità del dolore derivano dal vissuto sentimentale della dimenticanza, dall’oscura complessità dell’evento traumatico. Le incomprensibili e misteriose rievocazioni ingannano le esperienze disilluse, irretiscono le inquietudini e gli smarrimenti della protagonista, fanno riaffiorare nelle pagine la disperazione e la paura con l’intensità psicologica e patologica dei disturbi dissociativi. La devastante insicurezza spinge insistentemente la protagonista Fiamma a bruciare la sua esistenza, ad annientare la sua personalità, a dirigere l’attitudine anaffettiva nelle disposizioni delle sue fissazioni, perseguitando il germe patogeno della morbosità nell’ossessione e nella frustrazione. Maria Laura Rosati compone una trama trasversale, nella sinuosità dell’assenza, riavvicinando la diagonale dei sentimenti al flusso avvincente della storia, dissipando l’inerzia emotiva e l’incapacità di vivere e regolare i comportamenti, recuperando dalla distanza “dispassionata” dei viaggi interiori la vicinanza di un itinerario nelle cicatrici del passato, trascinando la rivelazione della disarmante verità. Leggere “Dispassione” è un incoraggiamento stimolante e intrigante a rintracciare i sintomi di una alterazione parallela, complice della ritualità di ogni trappola claustrofobica, i segnali del malessere, lo stato indefinibile dell’inquietudine, la relazione alterata dalla irriconoscibile consapevolezza. L’autrice distende il soffio dell’anima nel respiro vitale degli istinti, il disordine indistinto di ricordi non recuperati, riabilitando lo svolgimento di liberazione purificatorio nell’inesauribile ricongiungimento significativo della guarigione, svincolando la conclusione narrata nel viaggio autentico della vita.