Malgrado negli ultimi anni sia stato oggetto di una vera e propria riscoperta, Giulio Cesare Vanini, chiamato dai suoi contemporanei “aquila degli atei” per gli esiti antiteologici e antimetafisici del suo razionalismo radicale, è ancora poco conosciuto in Italia. Eppure, con le sue opere e la sua testimonianza ha segnato un punto di svolta nella storia della filosofia occidentale, contribuendo alla nascita dell’Europa laica e moderna. Ex frate carmelitano, il 9 febbraio 1619, quando aveva da poco compiuto trentaquattro anni, fu condannato al rogo per «ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi» e fu bruciato a Tolosa in una piazza che oggi porta il suo nome. Prima di essere consegnato alle fiamme gli fu strappata la lingua, l’organo con cui aveva “offeso” Dio.
In questo volume, che vuole rappresentare una prima introduzione alla sua figura e al suo pensiero, sono raccolti gli eventi fondamentali della sua appassionante vicenda umana e intellettuale.
Giulio Cesare Vanini
Il filosofo, l’empio, il rogo.
Prefazione di Sossio Giametta
Con uno scritto di Dario Acquaviva
Pagine 144
ISBN 978-88-98094-94-3
Prima edizione 2021
Il prezzo originale era: 15,00 €.14,25 €Il prezzo attuale è: 14,25 €.
Vanini, vagabondo e scettico finito al rogo, di Sossio Giametta, «Domenica – Il Sole 24 Ore», 19 dicembre 2021, pag. VIII
Terzo eroe della laicizzazione dell’Europa tra Bruno e Spinoza, Giulio Cesare Vanini (Taurisano 1585 – Tolosa 1619) è, con le sue due sole opere rimasteci, l’Anfiteatro dell’eterna provvidenza e I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali, un gigante non inferiore al suo predecessore e al suo successore. Vanini non è solo il grande scettico, l’irriverente e spregiudicato demolitore di superstizioni e credenze, lo smascheratore dell’uso subdolo della religione a fini di potere e, più in generale, il confutatore del sapere sistematico, degli schemi metafisici, del platonismo e dell’aristotelismo imperversanti al suo tempo, e finanche del materialismo epicureo-lucreziano: perché con tutte queste cose ci si sforza di ingabbiare e stravolgere la forza indomita e straripante della natura. Vanini è anche l’adoratore ed esaltatore del nostro vero Dio, della dea natura appunto, da cui dipendiamo per il bene e il male, la felicità e il dolore, la vita e la morte. La scepsi era la prima funzione necessaria, la decostruzione prima della nuova costruzione, oltre che un freno all’esaltazione e all’entusiasmo straripante di Bruno.
Ma Vanini non è meno positivo che negativo, ed esalta la natura come principio unico del moto e della quiete, alla cui alternanza soggiacciono sia i casi della natura che quelli della storia. Il suo è un naturalismo integrale che riconosce l’eterno ciclo di generazione e corruzione, riduce i pretesi fenomeni soprannaturali (i miracoli) a leggi ignote della natura, che regolano non solo i fenomeni fisici, ma anche il destino di imperi e religioni. Nega una finalità sopramondana del mondo e riconosce solo i dettami della natura. Ha dunque, prima di Nietzsche, una concezione perfettamente immanentistica della vita e del mondo. Fece una vita di vagabondaggi e fughe attraverso l’Europa, come Giordano Bruno, e come lui fu alla fine catturato e bruciato.
Questo filosofo, apostolo e santo della ragione, è stato a lungo ignorato o sottovalutato. Ormai, però, la sua grandezza, esaltata da Schopenhauer e Hölderlin, viene sempre più in luce, per la sua stessa forza e per la meritoria attività dei suoi agguerriti studiosi, tra i quali figura Mario Carparelli. Il suo nuovo libro è una biografia plutarchiana. Come Plutarco, Carparelli, nella narrazione della meteora Vanini, delucida più in generale il dramma della grandezza, che fa la straordinarietà delle Vite parallele. La grandezza è per gli eroi della storia una tragedia, perché l’eroe, autoselezionatosi per la purezza della sua natura, è sbalzato dalla storia fuori dalle normali sponde di sicurezza entro le quali vivono e si tutelano gli uomini comuni. Per rifugiarvisi si sforza allora disperatamente, ma ne è impedito dal suo ineluttabile destino.
Giulio Cesare Vanini. Il filosofo, l’ampio, il rogo
Mario Carparelli
Liberilibri, pagg. 144, € 15
Giulio Cesare Vanini, un filosofo dal Salento al mondo, di Marco Lanterna, «www.olioofficina.it», 21 agosto 2021.
La Puglia – terra elettiva di santi, madonne e visioni beatifiche – genera anche, più raramente e quasi per una sorta di reazione allergica, delle formidabili antitesi al divino, dei regali cigni neri, anzi delle aquile antimetafisiche come per l’appunto venne definito Giulio Cesare Vanini l’aquila degli atei.
Nato a Taurisano nel 1585, dopo una brevissima vita a zonzo per l’Europa e la composizione d’alcuni libri di filosofia naturalistica, finì i propri giorni a Tolosail 9 febbraio del 1619. Venne arso vivo per “ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi”. Il boia, per maggior platealità terrifica, gli strappò persino quella lingua con cui aveva osato “offendere Dio”.
Ora Mario Carparelli, vicepresidente del Centro Internazionale di Studi Vaniniani nonché curatore con Francesco Paolo Raimondi dell’edizione reference di tutte le opere di Vanini (edita da Bompiani nel 2010), ha composto questa piccola summa di conoscenze e curiosità sul filosofo salentino: Giulio Cesare Vanini. Il filosofo, l’empio, il rogo (Liberilibri editore).
Carparelli ha optato per la forma settecentesca e volteriana del dictionnaire philosophique portatif invece d’una trattazione distesa o peggio accademica. Sicché il fortunato lettore, piluccando le 77 voci alfabetiche del libro quasi fossero ciliegie (si sa una tira l’altra), ricava senz’affanno né noia una conoscenza estesissima di Vanini, quasi da addetto ai lavori. In tal senso la seconda di copertina pecca di modestia signorile: vi si parla di “prima introduzione” al filosofo salentino, quand’invece Carparelli ne svela ogni segretuccio o minutaglia.
Vanini che è quasi del tutto sconosciuto da noi (dove la sua esecuzione viene beghinamente fatta sparire come sporco sotto il tappeto liturgico), grandeggia invece all’estero. Si resta un poco stupefatti nell’apprendere quanti colossi del pensiero appresero o ripresero da lui (occorre far almeno due nomi, Hegel e Schopenhauer, i quali in disaccordo perenne, non lo sono però sulla grandezza da tributargli). Inoltre il pensiero vaniniano – che per sfuggire all’Inquisizione si dipanava specioso nelle opere originali in un complesso gioco di simulazioni e cifrature – viene qui infine esplicitato come solo accade nelle piane soluzioni della Settimana enigmistica. Tanto è chiaro e garbato il volume di Carparelli che, oltre al genere del dictionnaire, bisogna intestargliene un altro, pur esso settecentesco, ovvero quello della trattazione galante di argomenti ostici o eruditi. Vanini per le dame avrebbe potuto intitolarsi questo bel librino vermiglio che non a caso l’autore dedica alla figlioletta Beatrice.
Oggi Vanini (a cui bisogna avvicinare altri due martiri del libero pensiero, l’arcinoto Giordano Bruno e l’arcignoto Ferrante Pallavicino) è più attuale che mai. Se infatti la sua figura e il suo sacrificio hanno “contribuito alla nascita dell’Europa laica e moderna”, egli può altresì invigilarne le sempre più frequenti regressioni, ossia quei rigurgiti di barbarie spacciati per ritorno alla tradizione. Vanini dev’essere uno sprone e insieme un monito per i liberi pensatori di adesso, attesi proprio nell’epoca placida dell’infosfera da nuovi insidiosi incorporei roghi.
Nel volume, simili a tre moschettieri dumasiani che uniscono le punte delle loro spade prima della zuffa, danno man forte a Carparelli anche Sossio Giametta e Dario Acquaviva. Nella sua prefazione Giametta – gran filosofo contemporaneo erede della linea naturalistica di Vanini – inquadra il suo antesignano in quel secolare movimento di divinizzazione del mondo a scapito dell’aldilà, iniziato proprio in Italia dai filosofi della natura e portato a compimento dallo Zarathustra di Nietzsche. Mentre Acquaviva – formidabile bibliologo cacciatore d’antichità librarie – nella postfazione rifà minutissimamente la storia delle edizioni vaniniane; le quali, assai più fortunate del loro mesto autore, non conobbero né roghi né autodafè, ma solo gl’incruenti furori dei bibliofili.
A seguire i dieci comandamenti oggi si finisce al rogo (mediatico), Preghiera di Camillo Langone, «Il Foglio», 17 luglio 2021, pag. 2.
Un’asfissiante alleanza tra trono e altare teneva in cattività sudditi resi docili e controllabili grazie alla continua e costante diffusione di terrore, ignoranza e superstizione”. Mario Carparelli in “Giulio Cesare Vanini. Il filosofo, l’empio, il rogo” (Liberilibri) parla di un diciassettesimo secolo che somiglia al ventunesimo. Anche oggi rischia molto, non ancora il rogo ma l’ostracismo e la fame, chi rifiuta pubblicamente i terrori, le ignoranze e le superstizioni del momento: nel 2021 si chiamano ambientalismo, animalismo, femminismo, genderismo, immigrazionismo, omosessualismo, razzialismo… Anche oggi bisogna dissimulare come dissimulava il pensatore pugliese che però alla fine venne sgamato e quindi bruciato a Tolosa per “ateismo, bestemmia, empietà”. A Vanini venne strappata la lingua perché, scrive il prefatore Sossio Giametta, riconosceva “solo i dettami della natura”. Chi provasse oggi a riconoscere solo i dettami di Dio ossia il Decalogo si vedrebbe strappata la lingua non anatomica bensì mediatica, col blocco dei profili su tutti i social (tutti, lo si capisca una buona volta, conseguentemente di Satana).
Giulio Cesare Vanini. La leggenda nera che ha segnato il destino di un grande filosofo, di Andrea Camprincoli, «Libero», 10 luglio 2021, pag. 23.
Arrestato a Tolosa il 2 agosto 1618, e quindi condannato al rogo con verdetto non unanime da un tribunale civile, il Parlamento cittadino, al termine di un processo-farsa influenzato da una falsa testimonianza e dall’ostinazione del pubblico ministero Guillame de Catel (che lo definì «in assoluto il più bello e il più maligno spirito che io abbia mai conosciuto»), per «ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi», il 9 febbraio 1619 il 34enne Giulio Cesare Vanini, ex frate carmelitano, fu bruciato in una piazza, Place du Salin, che dal 31 marzo 2012 porta il suo nome. Al carnefice che era venuto a prelevarlo per portarlo sul patibolo disse in italiano: «Andiamo, andiamo allegramente a morire da filosofo». Prima del rogo, gli fu strappata dalla radice la lingua, l’organo con cui aveva offeso Dio, con le tenaglie. Si udì allora un urlo bestiale, racconta un testimone, che mai esseri umani avevano sentito in precedenza. I suoi libri furono sequestrati e proibiti.
RAZIONALISTA
Ma chi era Vanini? La sua appassionante vicenda umana e intellettuale, fatta di studi ma anche di fughe, di soggiorni in Inghilterra e alla corte francese di Maria de’ Medici, viene ora raccontata rapsodicamente, tramite alcune istantanee sotto forma di voci di dizionario, da Mario Carparelli – vicepresidente del Centro Internazionale di Studi Vaniniani e già curatore, con Francesco Paolo Raimondi, di una monumentale edizione critica dell’opera omnia del filosofo di Taurisano (1585-1619) – nell’agile volumetto Giulio Cesare Vanini. Il filosofo, l’empio, il rogo (Liberilibri, pagg. 114, euro 15), con una prefazione del filosofo Sossio Giametta, massimo interprete di Nietzsche, che considera il salentino un apostolo della ragione e un pensatore degno di un Giordano Bruno e di un Baruch Spinoza, e uno scritto del bibliofilo Dario Acquaviva sulla presenza delle opere di Vanini sul mercato antiquario.
Padre nobile dell’Illuminismo, un razionalista radicale, con le sue due opere superstiti (l’Amphitheatrum aeternae providentiae, stampato a Lione nel 1615 grazie anche ai buoni uffici del filologo ginevrino Isaac Casaubon, e il De admirandis, stampato a Parigi nel 1616; un’Apologia del Concilio di Trento è andata perduta) ben presto inserite nell’Indice dei Libri Proibiti, Vanini demolisce il pensiero dominante della sua epoca, la religione come instrumentum regni e i fondatori dei tre monoteismi (tanto che a lungo gli viene attribuita la paternità del celebre, ma settecentesco, trattato De tribus impostoribus). Nel suo nuovo mondo non c’è più posto per il Dio cristiano, per anime immateriali e immortali, per angeli o demoni, per la magia e i miracoli: l’universo è una macchina, una sorta di orologio, e l’uomo si è generato per caso «dalla specie e dal seme delle scimmie».
LA LEGGENDA
Ovviamente, dopo la sua morte fu subito alimentata una leggenda nera che lo voleva apostolo di Satana, un profeta dell’ateismo dedito alla stregoneria, addirittura un assassino: avrebbe ucciso a coltellate il suo persecutore Enrico Silvio, priore generale dell’Ordine dci carmelitani. E ciò non aiutò di certo la sua fortuna. Stroncato da Leibnitz, per il quale era solo uno sciocco vanesio, e Voltaire («un povero prete napoletano», si legge nel Dizionario filosofico), più volte accusato di plagio (ben prima della sistematizzazione dovuta al conterraneo Luigi Corvaglia nel 1933-34), ammirato invece da Hegel, che lo colloca al fianco di Hume e Hobbes, e da Schopenhauer, che lo considera «acuto e profondo» («Certamente», scrive nei Parerga e paralipomena, «fu più facile bruciare Vanini che riuscire a confutarlo»), destinatario di una struggente ode di Hölderlin, citato da Borges ed Eco, preso a simbolo dalla Massoneria, ma quasi sempre ridotto ad aristotelico minore dagli storici della filosofia e snobbato da due pesi massimi come Croce e Gentile, oggi Vanini conosce un’ampia Reinassance. Di cui l’attività di Carparelli in Italia è magna pars. E questo libro un appetitoso assaggio, che non tralascia neppure le note più curiose e divertenti rintracciabili negli scritti vaniniani. Come l’elenco dei cibi afrodisiaci, la ricetta di uno stimolante sessuale in tavoletta o un’apertura ante litteram alla fecondazione assistita.