Lettere a Hawthorne

Il carteggio tra due giganti della letteratura

A cura di Giuseppe Nori

Testo a fronte

Pagine LVIII-126

ISBN 978-88-98094-56-1

Prima edizione 1994

Seconda edizione 2019

Il prezzo originale era: 9,00 €.Il prezzo attuale è: 8,55 €.

Collana
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Le lettere a Hawthorne ci consentono di ricostruire e mettere a fuoco l’evoluzione artistica e intellettuale di Melville tra il 1851 e il 1852, gli anni più inquieti e più intensi della letteratura classica americana.
È questa un’evoluzione rapidissima e sofferta, segnata da svolte decisive, in gran parte dettate dalla coesistenza paradossale di impulso creativo e disillusione ideologica che caratterizza il rapporto problematico con Hawthorne stesso. In questo periodo cruciale, Melville passa dagli schemi visionari del nazionalismo letterario al ripudio della Giovane Ame­­rica, dalle vette speculative e distruttive di Moby- Dick e Pierre alle aporie sentimentali della «storia di Agatha», per riemergere infine dall’impasse artistica come il critico più spietato e corrosivo della coscienza nazionale.
Questa nuova edizione riveduta e ampliata esce a venticinque anni dalla prima, in concomitanza con il bicentenario della nascita dello scrittore americano.

“Lettere a Hawthorne”, Herman Melville, a cura di Giuseppe Nori (LiberiLibri 2019) a cura di Viviana Filippini, «Liberi di scrivere», 5 ottobre 2019

 

Lo scorso agosto sono stati i 200 anni dalla nascita di Melville, l’autore di Moby Dick e l’editore LiberiLibri per l’importante anniversario ha ripubblicato (seconda edizione riveduta e ampliata rispetto al 1994) “Le lettere a Hawthorne” di Herman Melville, il carteggio tra lui e Hawthorne, due figure magistrali della letteratura americana. Le pagine scritte da Melville permettono a noi lettori di entrare dentro una parte della sua vita, tra il 1851 e il 1852, per conoscerlo nel suo vissuto lavorativo, ma anche in quello privato. Ed è la mescolanza tra queste due dimensioni che ci aiuta ad avere un’immagine più nitida dello scrittore, che in quel biennio visse sulla propria pelle uno dei momenti più intensi della sua evoluzione come autore e della sua produzione letteraria. Quello che emerge da questi testi è la personalità complessa, piena di dubbi, timori emozioni e paure che attanagliavano Melville: uno scrittore dalla creatività in costante fermento. Melville aveva viaggiato molto nella sua esistenza e proprio grazie a questo suo continuo spostarsi, lui era riuscito a trovare lo spunto per molti  scritti proprio dal contatto con la realtà vissuta in prima persona e da quello con popolazioni differenti per usi e costumi da quella americana. Molti degli appunti presi dall’autore sono diventati romanzi a tutti gli effetti o rimasti delle bozze da sviluppare. L’autore di “Moby Dick” scrive a Hawthorne, manifestando il suo bisogno di incontrare lui e la sua famiglia, come per avere un contatto diretto con un collega che a tratti sembra essere il migliore amico mentre, in altri momenti, Hawthorne sembra essere non il nemico, ma quel tipo di autore, perfetto, di successo, con una famiglia da cartolina ed equilibrato che Melville avrebbe voluto essere, e che non divenne mai. Quello che emerge da queste pagine è il ritratto di un uomo tormentato, consapevole della sua capacità di scrittura ma, allo stesso tempo, convinto di venir ricordato dai posteri non per i propri romanzi, ma come l’individuo che viveva con i cannibali e che amava scrivere libri con protagonisti dei selvaggi. Nelle lettere lo stesso Melville si concentra su alcuni suoi testi: “Moby Dick” che, in quel periodo, era in revisione e che lo sfiancò psicologicamente ; poi ci sono riferimenti a “Pierre” e alle sue aspirazioni di letterarie e la storia di Agatha, unita agli spunti della vita vissuta che ispirarono Herman alla stesura del soggetto. “Lettere a Hawthorne” è un vero e proprio viaggio nella vita letteraria e civile di Herman Melville, un uomo e un genio della scrittura dalla personalità complessa e in evoluzione, che nel corso del tempo è diventato  uno dei pilastri e dei classici della letteratura romantica americana e mondiale e che è riuscito a trasformare in eroi del quotidiano, gli umili protagonisti delle sue storie. Traduzione di Giuseppe Nori.

Herman Melville (New York, 1819-1891) A ventisei anni, dopo un’infanzia sofferta e una prima giovinezza «sregolata e avventurosa» di marinaio (nelle note parole di Hawthorne), Melville inizia la sua carriera letteraria. Scrive sette romanzi in sette anni, alternando successi a insuccessi, fino ad alienarsi definitivamente il favore e la stima del pubblico con i suoi capolavori, “Moby-Dick” (1851) e “Pierre” (1852), due opere audaci, tanto incomprensibili quanto dissacratorie per i suoi contemporanei. Sull’orlo del disastro letterario ed economico, continua la sua attività narrativa fino al 1857, per poi abbandonare la carriera pubblica di scrittore di prosa e dedicarsi a una lunga e oscura attività di poeta. Muore quasi del tutto dimenticato, lasciando fra le sue carte il manoscritto di “Billy Budd”, il suo ultimo capolavoro narrativo. Di Melville, Liberilibri ha pubblicato “Lettere ad Hawthorne” (1994).

Giuseppe Nori è professore di Lingue e letterature anglo-americane presso l’Università di Macerata. Si è dedicato principalmente ai classici dell’Ottocento: Melville, Hawthorne, Emerson, Bancroft, Whitman e Stephen Crane. Si è inoltre occupato di letteratura e religione nel Seicento e di narrativa e poesia moderniste. Per Liberilibri ha curato”Lettere ad Hawthorne” di Melville (1994) e “Cartismo” di Thomas Carlyle (1994).

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa e a Maria Grazia Gelsomini.

 

Lettere a Hawthorne di Herman Melville – Recensione di Rachel Sandman, «Rachel Sandman Author», 4 ottobre 2019

 

A venticinque anni di distanza dalla prima uscita del 1994, Liberilibri dà alle stampe una nuova edizione riveduta e ampliata delle Lettere a Hawthorne di Herman Melville. Il volume, con testo originale a fronte, è curato oggi come allora da Giuseppe Nori, professore di Lingua e letterature anglo-americane all’Università di Macerata. L’occasione di questa iniziativa è il bicentenario della nascita del grande scrittore, riconosciuto ormai come un “classico” indiscusso della letteratura romantica americana e mondiale, avvenuta a New York il 1° agosto 1819.

Melville e Hawthorne si incontrano nell’agosto del 1850 in Massachussetts. Hawthorne è già un affermato autore di racconti, e ha pubblicato in quell’anno La lettera scarlatta. Anche Melville, che ha quindici anni in meno, è ormai uno scrittore affermato, con all’attivo ben cinque romanzi di mare. Un mese dopo il loro incontro, Melville lascia New York e si trasferisce con la famiglia nel Berkshire vicino a Hawthorne e da allora, fino al novembre 1851, i rapporti fra i due e le rispettive famiglie saranno strettissimi. Quando Hawthorne lascia il Berkshire, continua comunque a tenersi in contatto con Melville fino alla fine del 1852, ed è in questo periodo che l’epistolario s’interrompe. I due si rivedranno brevemente nel 1856 e nel 1857 in Inghilterra (dove Hawthorne era stato nominato Console degli Stati Uniti), poi non si rivedranno più.

L’epistolario è breve e incompleto perché restano solo le lettere di Melville, non quelle di Hawthorne forse distrutte dallo stesso Melville, ma “costituisce il cuore del loro rapporto” come scrive Nori nell’Introduzione, e “ci permette di ricostruire e mettere a fuoco alcuni fra i momenti più suggestivi delle loro biografie”. Un rapporto incentrato su un momento di profonda comunione intellettuale privata, all’interno di un medesimo processo culturale che li spinge però verso direzioni opposte, seppur comple­mentari, fino all’estraniamento assoluto.

La Balena Scarlatta

Nathaniel Hawthorne è il fortunato destinatario di una serie di lettere firmate da Herman Melville. In un volume che unisce, insomma, l’autore de La lettera scarlatta a quello di Moby Dick, grazie alla casa editrice LiberiLibri il lettore può immergersi in un epoca lontana, composta e strutturata su pensieri e riflessioni che ingombrano la mente dell’autore americano proprio nel periodo in cui il suo capolavoro, quello legato al capodoglio, al mostro marino, inizia a farsi strada e a prendere forma.

Ad essere protagonista (non me ne vorrà il suo amico di penna) è in assoluto Herman Melville, un uomo dallo spirito indipendente, descritto dallo stesso Hawthorne come un personaggio vestito con una camicia di flanella rossa e un paio di pantaloni da marinaio. Egli appare, insomma, come una persona dai modi assai signorili […] ma un po’ eterodosso in fatto di biancheria pulita.

Attraverso le lettere che il padre di Moby Dick scrive si può, inoltre, fare un vero e proprio viaggio all’interno dei suoi pensieri, fatti di mutamento costante.

È un itinerario complesso quello che si apre davanti agli occhi di noi lettori, che tocca tappe fatte di varie tematiche, arricchite qua e là da note esplicative che valorizzano l’insieme grazie ad un lavoro filologico puntuale e di immediata consultazione (l’apparato critico, ricco di appunti e approfondimenti, mi ha, in qualche modo, riportato indietro agli anni universitari fatti di stesura della tesi, esami di filologia italiana, tabelle con collatio codicum arricchite con evidenziatori di vario colore).

Ma torniamo ora a Melville e ai suoi pensieri. Pensieri che arricchiscono epistole fatte non solo di cronologia quotidiana ma anche, e soprattutto, di audaci e talvolta complesse riflessioni.

La vita è un lungo Stretto dei Dardanelli […] le cui sponde risplendono di fiori, che vogliamo cogliere, ma l’argine è troppo alto; e così continuiamo sospinti sull’acqua, sperando di arrivare infine ad un punto di approdo – ma all’improvviso, giù! ci avventuriamo per il mare immenso!

Siamo insomma creature instabili, in piena metamorfosi, in pieno movimento come le acque del mare che Melville tanto ben conosce. Siamo un immenso divenire, un cubo composto da più facce, siamo moltitudine (pensiero tipico di una parte della letteratura americana, quella forse meno classica, quella guidata da Walt Whitman).

Siamo tutto ciò che non è fermezza.

La calma, l’imperturbabilità, lo stato d’animo silenzioso come il crescere dell’erba in cui un uomo dovrebbe sempre comporre, – tutto questo, temo, raramente sarà mio.

Ed è proprio questa immensa arrendevolezza, consapevolezza e sincerità d’animo che scivola per tutta la durata del carteggio e che si espande, resa anche metaforicamente attraverso immagini tratte da elementi semplici ma mai banali, incastonate all’interno di un lirismo in prosa.

In conclusione, il rapporto tra Melville e Hawthorne risalta, in questo insieme di lettere orfano delle risposte del padre de La lettera scarlatta, come l’unione di due opposti: anticonformista, per alcuni tratti, il primo, più conservatore il secondo; irrequieto Herman, più pacato Nathaniel. Insomma, un’unione di due geni che dura una breve parentesi di tempo ma che segna profondamente entrambi, maggiormente il giovane Melville, in quello che è il periodo più significativo e vivo sul lato della sua scrittura e dell’ispirazione.

Ringrazio, profondamente, Maria Stefania, per avermi regalato questo piccolo gioiellino di carta che mi ha portato a conoscere meglio uno dei capisaldi della letteratura americana, ad immergermi nei suoi pensieri, a rispolverare volumi fatti di note e dettagli come solo negli anni di studio ho affrontato. Grazie, infinitamente.

 

“Lettere a Hawthorne” di Gabriele Ottaviani, «convenzionali», 12 settembre 2019

Mio caro Hawthorne, se hai pensato che valga la pena scrivere la storia di Agatha, e dovessi occupartene, allora ho una piccola idea in proposito…

A venticinque anni di distanza dalla prima uscita Liberilibri dà alle stampe, inaugurando anche in questo modo la collana degli Inesauribili, testi dal fascino immortale già editi ma riproposti in una nuova veste, raffinata ma al contempo economica e maneggevole, perché si sa che un classico è un libro che non finisce mai di dire quel che ha da dire, una nuova edizione riveduta e ampliata, specialmente per il tramite di un aggiornamento sostanziale in merito a quel che concerne gli studi critici sull’autore, delle celebri Lettere a Hawthorne di Herman Melville, uno dei più grandi romanzieri della storia planetaria della letteratura, il principe del cosiddetto rinascimento americano che segnò le fasi cruciali della metà del diciannovesimo secolo, rivoluzionando tematiche e modalità di scrittura. Il volume – una vera e propria interessante e rivelatrice pietra miliare, nonostante sia breve, per il ridotto arco temporale dei rapporti fra i due sodali, andatisi per giunta progressivamente diluendo, e incompleto, perché contempla solo le lettere di Melville, forse autore della distruzione di quelle del suo corrispondente – che racchiude le parole di una figura oltremodo coraggiosa sotto ogni punto di vista e formidabile persino per quel che riguarda l’aspetto biografico come il creatore, del quale ricorre quest’anno il duecentennale della nascita, avvenuta a New York il primo giorno del mese di agosto, di Moby Dick, corredato come si conviene – ed è sempre una splendida notizia – dal testo originale a fronte, è curato anche in questa occasione da Giuseppe Nori, professore di Lingua e letterature anglo-americane all’Università di Macerata, esperto di Melville, Hawthorne, Emerson, Bancroft, Whitman, Stephen Crane, letteratura e religione nel diciassettesimo secolo, narrativa e poesia moderniste e molto altro ancora. Melville e Hawthorne si incontrano nell’agosto del milleottocentocinquanta in Massachussetts: il secondo, di tre lustri più grande d’età del primo, ha pubblicato in quell’anno La lettera scarlatta, mentre Melville ha all’attivo ben cinque romanzi di mare. A settembre dello stesso anno Melville lascia New York e si trasferisce con la famiglia nel Berkshire vicino a Hawthorne e da allora, fino al novembre del milleottocentocinquantuno, i rapporti fra i due e le rispettive famiglie sono strettissimi, per poi pian piano scemare. Da non perdere.