Langue fantôme è un’analisi impietosa del processo di autodemolizione della civiltà occidentale, e della sua resa alla retorica del multiculturalismo. Un processo che passa attraverso la corruzione delle lingue nazionali, le quali vanno via via perdendo le loro consolidate fisionomie, e in cui alla messa a morte della lingua e della letteratura si accompagna la negazione stessa dell’idea di nazione. In Éloge littéraire d’Anders Breivik, Millet prende in esame il sanguinoso episodio che sconvolse, il 22 luglio 2011, il popolo norvegese: il massacro di 77 persone compiuto da Anders Breivik a Utoya. Questa strage, incontestabilmente atto di un singolo, può essere interpretata anche come una tragica metafora della insofferenza che alberga in molti europei, rimossa ma generalizzata, nei confronti delle massicce immigrazioni di stranieri portatori di visioni religiose e costumi difficilmente conciliabili con i nostri.
La questione, tra le più complesse e gravi di questa fase storica, è aperta. E l’Autore, per averla sollevata senza la rituale “correttezza politica”, ha dovuto subire feroci ritorsioni censorie da parte di numerosi clercs non solo del suo Paese.