Dopo la crisi generata dalla pandemia, l’Italia non potrà più essere la stessa. Il virus ha colpito una società già estremamente fragile, da tempo ormai disgregata, gravata da un carico fiscale insostenibile e appesantita da un’esposizione debitoria che ha ipotecato in buona parte l’avvenire delle prossime generazioni.
In tale frangente, per pensare al futuro, è necessario avviare una nuova fase costituente.
Se dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli italiani iniziarono a ricostruire la società ponendo le basi delle istituzioni repubblicane, ora è necessario prendere una direzione diversa per non ripetere gli errori del passato. Perciò vanno messi al centro i territori, così che il dibattito sulle nuove regole veda protagoniste le comunità: spetta alle delegazioni regionali elaborare e discutere una Carta che dovrà diventare la Costituzione dei soli territori che l’avranno approvata, senza sacrificare i diritti e gli interessi degli altri.
A ogni area del Paese, con la propria specificità, devono essere riconosciute quelle libertà locali che l’Italia unita, nel corso della sua lunga storia unitaria, ha sempre calpestato: solo così, liberando i territori, si potranno rivitalizzare le nostre comunità.
Per una nuova Costituente
Liberare i territori, rivitalizzare le comunità.
Introduzione di Luigi Marco Bassani
Pagine XVI-92
ISBN 978-88-98094-76-9
Prima edizione 2020
Il prezzo originale era: 12,00 €.11,40 €Il prezzo attuale è: 11,40 €.
Una nuova Costituente per superare l’Italia di Porta Pia, di Stefano Fontana, «La nuova Bussola Quotidiana», 29 settembre 2020.
A porta Pia sono entrati il 20 settembre 1870 i bersaglieri dello Stato liberale italiano. Il fatto è condannato dai sostenitori della tesi delle “due Patrie” (o delle “due Rome”) che vedono nell’evento lo scontro tra due civiltà. La prima è la patria tradizionale dell’amicizia politica coesa dalla pietà religiosa e dalla tradizione che ne deriva, in un tessuto organico di sedimentazioni storiche e di vincoli di lealtà, ricevuti e trasmessi. La seconda è la patria rivoluzionaria sorta dall’eredità della Rivoluzione francese, con una identità artificiale, custodita e giudicata da una minoranza illuminata, sola capace di discriminare tra il patriottico e l’antipatriottico, con la conseguenza che civico si identifica con pubblico e pubblico con statale. Lì una comunità di comunità, qui uno Stato artificiale accentratore.
In questo quadro merita attenzione che a lamentare l’aggressione di Porta Pia e quanto ne è seguito siano però anche dei liberali. Nel suo libro-manifesto Per una nuova costituente. Liberare i territori, rivitalizzare l’economia (Liberilibri), il professor Carlo Lottieri, dell’università di Verona e intellettuale liberale, critica spietatamente tutto il processo risorgimentale italiano e in particolare la presa di Roma e da lì muove per chiedere, appunto, una nuova costituente. La cosa merita una certa attenzione.
Secondo il liberale Lottieri, i territori italiani hanno subito l’occupazione militare piemontese – la “conquista regia” di cui parlava anche Gramsci – a carattere violento e illegittimo. Ciò riguardò il meridione ed anche il Veneto. Nel 1860 il Piemonte ha debellato il Regno delle due Sicilie senza nemmeno una formale dichiarazione di guerra. Nel 1866 i Veneti sono stati aggregati allo Stato italiano con un plebiscito-farsa dopo che avevano combattuto lealmente all’interno dello schieramento austriaco nella guerra autro-prussiana. La breccia di Porta Pia – scrive Lottieri – dice con chiarezza “come la costruzione dell’Italia unita sia stata l’opera di una minoranza che s’è imposta anche a costo di sacrificare le aspirazioni dei più”.
Da queste valutazioni Lottieri prende le mosse per segnalare l’urgenza di una nuova costituente, dato che l’arretratezza cronica del nostro Paese – “quasi tutti i Paesi ex comunisti hanno superato il Mezzogiorno d’Italia in termini di reddito procapite e benessere” – è dovuto proprio a questo centralismo statalista delle prebende e del parassitismo, che impoverisce l’Italia produttiva e che obbliga le realtà territoriali italiane ad abbandonare la propria identità. Il modo – “folle” – con cui il potere ha trattato il coronavirus ha dato il colpo di grazia ad un Paese che negli ultimi dieci anni ha conosciuto un declino senza ritorno, riducendosi ad elemosinare dall’Europa una grama esistenza periferica. La proposta si spinge fino a postulare il diritto alla secessione delle aree dei Paesi che lo decidano con consenso democratico, come la Catalogna anche il Veneto.
Questa proposta liberale di una nuova costituente è di notevole interesse, come pure la coraggiosa condanna senza appello della “rivoluzione italiana” del risorgimento, condanna che ormai neppure la Chiesa colpita a Porta Pia fa più. Presenta anche delle debolezze che vanno comunque segnalate. Prima di tutto perché – anche se Lottieri lo nega – dimentica che lo Stato che ha unificato con la violenza e l’accentramento l’Italia è anche esso uno Stato liberale. Andando al fondamento si vede che il liberalismo produce una libertà originariamente anarchica che contiene già come proprio sbocco la sovranità del potere e la sua strutturale illegittimità. Secondariamente perché Lottieri dice di “ripartire dal consenso” di persone e territori, ma il consenso su cosa si fonda? Se si fonda sul solo fatto della libertà di esprimerlo non è fondato per nulla. In terzo luogo perché anche il costituzionalismo liberale può mancare di legittimità, se fondato su un qualche processo decisionista (anche collettivo o addirittura, per assurdo, universale) e non sull’ordine finalistico della realtà.
In sintesi, l’autodeterminazione delle persone e delle comunità locali, se si fonda solo sulla libertà, rimane privo di fondamento ultimo. Lo stesso accade se si fonda solo su motivi di fatto: comunità locali che hanno una loro identità tradizionale, valorizzazione economica delle loro potenzialità, oppure, al contrario, considerazioni sui costi improduttivi del sistema centralistico e così via. Tutte motivazioni vere, ma non decisive.
Nonostante queste debolezze, la denuncia di “Nuova Costituente” va accolta e accompagnata con attenzione, anche dai sostenitori della tesi delle due Rome. Certe sue critiche contro il centralismo statalista possono essere fatte proprie anche dall’altra prospettiva, pur soprassedendo per il momento sui fondamenti ultimi. Non dico che i fondamenti ultimi non debbano essere recuperati, né che i confronti sulle conseguenze senza i fondamenti corrano il serio pericolo del nominalismo, tuttavia ci può essere uno spazio di confronto nella disponibilità a non sottrarsi ad andare fino in fondo.
Coronavirus: la debolezza del sistema politico italiano, di Teodoro Klitsche de la Grange, «l’Opinione», 2 settembre 2020.
Carlo Lottieri, Per una nuova Costituente (Liberilibri, Macerata 2020, pagine 108, 12 euro). Questo saggio di Lottieri, preceduto dall’introduzione di Luigi Marco Bassani, si domanda se l’attuale sistema politico italiano potrà reggere all’impatto della crisi da Coronavirus. E risponde no. Già, come scrive Bassani nell’introduzione, l’Italia era un calabrone economico: come l’insetto, malgrado la forma non aerodinamica e le ali piccole riesce a volare, così il paese “andava, seppur lentamente, avanti”. Non è credibile che prosegua perché in autunno verranno al pettine i nodi irrisolti. Contrariamente a una parte dei critici dell’attuale “sistema”, di chi pensa sia “colpa della finanza, del Bildelberg o della cattivissima Merkel” il tutto è dovuto alle prebende pubbliche e alle rendite parassitarie organizzate (spesso) e dovute (sempre) al potere politico. Per cui “è del tutto chiaro che o si riforma profondamente la struttura politica e istituzionale, oppure nessuno riuscirà a metter mano a nulla: spesa pubblica, debito e rapina fiscale (ai danni dei singoli, delle imprese e di alcuni territori)”. Il prelievo fiscale tra il 1974 ad oggi è, in rapporto al reddito nazionale, più che raddoppiato; fino a quando (cioè all’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso) il Pil aumentava, l’incremento del prelievo era “compensato” – almeno in parte – dall’aumento del reddito. Ma dalla crisi del Covid-19 – che si aggiunge a quella del 2008, ancora gravante sull’Italia la quale, dal governo Monti in poi è “cresciuta” con percentuale annua da prefisso telefonico – e al relativo crollo del reddito, non si esce, sostengono Bottieri e Bassani se non cambiando il sistema radicalmente.
Mentre per l’analisi si può concordare anche se il ruolo dei poteri forti e/od occulti (quelli in crociera sul “Britannia”) non è sottovalutabile, ma sicuramente non è la sola causa dei guai nazionali, diverso è per la soluzione che propone il seggio. Lottieri parte dall’Unità d’Italia, realizzata secondo un modello centralistico e statalista, accompagnato dalla voluta rappresentazione propagandistica volta a trasformare il Risorgimento in fiaba, mentre “la costruzione dell’Italia unita sia stata l’opera di una minoranza che s’è imposta anche a costo di sacrificare le aspirazioni dei più”. Data tale premessa ne è conseguente che “per proteggere un ordine politico artificioso e un’unità decisa dagli eserciti le classi di governo hanno dovuto a più riprese iniettare quantità massicce di veleno ideologico nelle vene degli italiani. Il controllo materiale sulle esistenze ha dovuto presto essere accompagnato da una progressiva manipolazione delle coscienze. Ma se le cose stanno così, deve essere chiaro che per salvare gli italiani bisogna affrancarli dall’Italia”. Ora che lo Stato nazionale è fallito, occorre ricostruirlo dalle comunità territoriali con un procedimento federalistico-consensuale. Le comunità che non aderiranno alla federazione saranno libere di starne fuori, scrive Lottieri. È qui che la tesi presta il fianco alle critiche. Funzione (dell’istituzione e) dell’autorità è offrire protezione politica. Il che vuol dire in primo luogo, difendere l’esistenza della comunità e dei cittadini. Anche se è assai importante, assicurare la certezza dei rapporti giuridici, attraverso un apparato di coazione è comunque l’aspetto secondario. In ogni fase storica (o anche geo-storica) per dare protezione all’esistenza comunitaria occorreva una massa critica idonea. Se le polis antiche, fino ad Alessandro Magno, riuscivano ad assicurarla, già dopo il macedone il mondo mediterraneo si organizzò progressivamente in sintesi politiche regionali (Roma, Cartagine, i regni dei diadochi) cui succedette un impero unico.
Secoli dopo il declino del feudalesimo – con i suoi poteri locali non (o poco) subordinati al Papa e all’Imperatore, succedettero i più piccoli, ma più centralizzati Stati moderni, I quali esercitavano realmente e pienamente, cioè di fatto, la sovranità ove raggiungessero certe dimensioni. Che nessuno degli Stati pre-unitari sia italiani che tedeschi (a parte la Prussia e fino a un certo tempo, Venezia) avevano. Il risultato fu che le guerre europee si facevano soprattutto in Germania e Italia perché erano, politicamente, degli open space. L’indipendenza politica esterna degli italiani e dei tedeschi arriva solo con l’unificazione nazionale. Se pure la formula proposta da Lottieri come soluzione al populismo, ossia “mercati globali, governi locali” è seducente, non è detto che, di fatto, sia capace di conservare l’esistenza delle comunità locali, in una fase storica in cui il potere è concentrato in entità, statali e non, di enormi dimensioni, capaci di far valere con successo le proprie volontà. Le quali possono essere contenute solo se costrette a confrontarsi con soggetti di pari forza – o di forza non dissimile. Par in parem non habet iurisdictionem, non è solo un principio giuridico; è anche la conseguenza di una parità (o di una non eccessiva disparità) di fatto.
Venezuela o Svizzera: il futuro dell’Italia tra statalismo e libertà, di Carlo Marsonet, «Leoni Blog», 6 agosto 2020.
Anche se secondo qualcuno – la maggior parte delle persone, in effetti, compresi gli studiosi – il mondo sarebbe infestato da “liberisti selvaggi”, la realtà delle cose parrebbe un po’ diversa. Secondo costoro, il problema è che il mercato e la diabolica ideologia ad esso sotteso, il “liberismo”, si sarebbero impadroniti del globo. In Italia, in particolare, vi è chi tuona con fare boriosamente moralistico contro la deriva liberista che sarebbe in atto ormai da anni (da decenni, magari, chissà: nel fantastico mondo dell’ideologia tutto è possibile). Secondo alcuni, perfino l’attuale leader leghista sarebbe un furfante liberista (sic!). Ma pazienza: il bambino che è in ognuno di noi amerà sempre le favole.
Per fortuna, però, qualche sacca di resistenza alla vulgata dominante esiste e si fa sentire. Carlo Lottieri in un recente volumetto edito dalla maceratese “Liberilibri” (Per una nuova Costituente. Liberare i territori. Rivitalizzare le comunità, 12 euro, pp. 92, con salace e godibile introduzione di Lugi Marco Bassani) cerca di opporvisi, invitando a guardare in faccia la realtà: niente di più, niente di meno. Ma, si sa, sovente questa è difficile da digerire, in particolare se lo sguardo dell’osservatore è coperto da uno spesso paraocchi e la realtà non si piega alla volontà ingegneristica e iper-razionalistica degli intellettuali, consiglieri del “principe”.
Dopo la pandemia, scrive il filosofo del diritto che insegna nell’ateneo scaligero, i problemi incancreniti di cui soffre questo Paese non potranno che esacerbarsi. Non c’è bonus, sussidio o regolamentazione che tenga: o si inverte radicalmente la rotta, o diventeremo un vero e proprio distaccamento dell’America Latina (peraltro già molto vicina, ascoltando discorsi di molti politici, e non solo). Il fatto è che da noi, il mito dello stato come fornitore benevolente di beni e servizi, portatore di pace e giustizia, difensore dei deboli e degli umili, ha in qualche modo attecchito (sebbene, curiosamente, dall’altro lato ci si lamenti quotidianamente della stessa identica entità: il tema del “doppio” si addice allo stato, o piuttosto ai cittadini, Jekyll in un momento, Hyde in un altro?).
L’Autore non fa mistero delle sue convinzioni: da libertario quale è, lo stato è ritenuto un male in sé, giacché falcidia l’assioma di non aggressione, per cominciare, così come crea incertezza più di quanta non ne elimini (la legislazione distrugge la certezza del diritto), manomette il processo di “scoperta dell’ignoto e correzione degli errori” (attuato dal libero mercato) e, infine, tende ad assorbire tutta l’esistenza degli individui, politicizzando ogni sfera e inaridendo i legami autenticamente comunitari. Il fatto è che lo stato, in Italia soprattutto, è un distruttore dell’ordine: quest’ultimo, infatti, non va pensato alla stregua di un progetto di una qualche “super-mente” che s’invera, bensì come il prodotto inintenzionale dell’interazione umana spontanea. Un ordine, insomma, non si costruisce: si scopre, si vive quotidianamente. Tale è, infatti, il diritto, ovverosia quell’istituzione, nobile segnale di civiltà, che emerge dalla fitta e complessa trama di rapporti in seno alla società.
Ebbene, lo statalismo vanifica tutto ciò e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, purché non siano abbacinati dall’ideologia. «A ben guardare, in ogni modo – osserva il cofondatore dell’Istituto Bruno Leoni – il fallimento economico della Repubblica italiana è conseguente al venir meno dello spirito autentico del diritto, quale insieme di regole poste a tutela dei singoli e della società, e questo perché il potere ha occupato ogni spazio. In tal modo – continua Lottieri – l’ordinamento ha smesso di essere un quadro di libertà, dove le norme sono lì per tutelare l’autonomia delle persone, mentre è diventato un docile strumento delle mani di pochi. È quindi evidente – conclude il suo ragionamento – che lo stesso crollo economico ha la propria radice più profonda in questa corruzione della vita civile».
Può continuare a esistere un’entità che ogni giorno conculca la libertà individuale, rapina le persone, lede la certezza del diritto, complica la vita degli individui con norme che lievitano e mutano ogni giorno (incredibilmente attuale quanto Bruno Leoni scrisse in Freedom and the Law, in Italia pubblicato dalla stessa “Liberilibri”: peccato che sia ignorato dai più), con una burocrazia che, anziché essere al servizio dei cittadini, li asservisce? Nel momento in cui lo stato da variabile dipendente diviene variabile indipendente, rendendo gli individui schiavi del suo potere e della sua autorità, distruggendo le comunità autentiche e la libertà di disporre della propria vita, libertà e proprietà, tali domande vanno poste con estrema urgenza. Quali che siano le risposte, si badi che lo schema idealtipico vede, da un lato, il modello Venezuela (o Argentina, se si preferisce), mentre il polo opposto è occupato dal modello Svizzera. È sufficiente scolpirsi indelebilmente in testa che il futuro non è scritto e, chi vuole essere libero, deve rivendicare il diritto di resistenza: la proposta di una nuova Costituente fatta del filosofo del diritto bresciano va precisamente in questa direzione.
Lo scarabeo e il calabrone: “Per una nuova Costituente”, di Paolo L. Bernardini, «Il Miglio verde», 4 agosto 2020.
Il libro di Carlo Lottieri, amabilmente prefato da Luigi Marco Bassani, merita di essere letto e meditato per diversi motivi. Pubblicato a fine luglio 2020 come numero 144 della storica collana “Oche del Campidoglio”, presso liberilibri di Macerata – la creatura di Aldo Canovari che da decenni aiuta il pubblico italiano a capire che esistono vie di fuga dall’aria irrespirabile dello statalismo nostrano – mostra bene come la prospettiva liberale-classica, se non libertaria, sia ormai inevitabilmente legata a quella separatistica. Non è una conclusione scontata: ed è proprio la possibile deriva statalistica, socialistica, di nuove entità territoriali che ha tenuto finora lontani dall’indipendentismo molti liberali italiani (anche se mi domando come si possa andar peggio di ora: ma il Venezuela è peggio, ma la Corea del Nord è peggio…), liberali che – bontà loro – credono ancora che il progetto statuale nato nel 1861 possa rimanere tale con qualche…riforma! Anche io sono convinto di avere vent’anni e i capelli tutti ricci e scuri…
Il secondo motivo che è un libro breve, scritto con la consueta chiarezza e coerenza di Lottieri, che riassume bene i motivi per cui una “nuova costituente italiana”, un nuovo progetto federale, confederale, o anche soltanto la creazione di “dieci” (numero ipotetico, astratto) stati indipendenti sarebbe l’unica salvezza per l’Italia. Cessare di essere quello che è – per permettere a chi davvero “è”, l’essere umano, la persona (gli Stati sono astrazioni, nessuno versa lacrime quando muoiono, e non hanno alcuna agonia che non sia metaforica) di vivere finalmente una vita dignitosa – per lasciar spazio a nuove entità politiche che poi per forza di cosa sarebbero diverse, innovative, per ordinamenti, strutture, etc., dai vecchi Stati dalla cui frammentazione nascerebbero, anzi dal vecchio Stato sabaudo malamente riconvertito in democrazia (!) nel 1948.
Il terzo motivo che fornisce materiali teorici importanti a tutti gli indipendentisti, non solo ai veneti ai quali Lottieri Bassani io e qualche altro accademico “maverick” guardiamo con grande simpatia (anche perché oggettivamente il Veneto è meno infiltrato da mafie, camorre, sacre corone e n-dranghete come è il caso della Lombardia – stretti alleati dello Stato centrale senza il quale cesserebbero di esistere: il Veneto è ancora – relativamente — puro). Vi è una breve bibliografia alla fine di classici sulla secessione e il liberalismo che sarebbe un bene che tutti (gli indipendentisti) conoscessero.
Il quarto motivo – perché fin qui si potrebbe obiettare con l’Ecclesiaste: “Niente di nuovo sotto il sole” (dell’indipendentismo) – è che il libro prospetta un vero settembre catastrofico, ovvero il modo criminale e vergognoso con cui l’Italia ha gestito e sta gestendo – Conte mentre scrivo queste righe ha prorogato “l’emergenza” fino a metà Ottobre, cosa così grottesca e paradossale che non può che essere vera – la presenza del virus. Ora, se il discorso di Lottieri sarebbe stato comunque valido, la rovina in agguato – frutto del centralismo, come ogni altra sciagura – non solo ne accentua la validità, ma in qualche modo richiede una paurosa accelerazione dei tempi: o si va verso l’autogoverno, o si va verso l’inferno. Fa rima.
Bassani parla nella prefazione, ricca e bella come il libro, dell’Italia come “calabrone”, con un corpo assurdamente grande e due alette piccole piccole, che pure, contro “statica e dinamica”, vola lo stesso, o ha volato lo stesso. O meglio, pian piano, arrancando, sacrificando i giovani migliori, mettendo in povertà milioni di persone, stentatamente in qualche modo fino a dieci, ma in verità fino a 20 anni fa (la stagnazione dura vent’anni), un pochino andava avanti. Ma più che un calabrone – per restare nel campo che mi è caro dell’entomologia politica – si potrebbe parlare di scarabeo stercorario, insetto sacro agli Egizi. Il quale si nutre dei propri escrementi (Geotrupes stercorarius). Ora, cosa vuol dire? Che ovviamente l’apporto nutritivo dell’escremento sarà progressivamente minore, e dunque solo in emergenza (caro Conte, ecco l’emergenza!), si potrà ricorrere allo sterco come cibo. Per parafrasare Eraclito (“Non ci si bagna due volte nello stesso fiume”): “Non si mangia due volte la stessa merda”. Ma invece è quello che in Italia accade, si abbassa costantemente il livello di vita, e dunque garantendo sopravvivenza a masse crescenti di disperati a livelli sempre più bassi il governo centrale sembra che trionfi. I parassiti si nutrono della carne dei produttori, ma se i produttori sono ridotti all’osso allora si nutrono degli escrementi di costoro…
Benvenuto dunque ad un libro che parla di – da sottotitolo – di “liberare i territori e rivitalizzare le comunità.” Il problema rimane uno: chi si prende l’incarico di farlo? Onore e onere immensi!
La politica necessita della teoria come il lottatore di muscoli. Ma non bastano. Ci vuole uno strappo alla teoria, un guizzo, un leader, un sogno, tanti momenti irrazionali, che contrastano con la pura logicità ed autoevidenza di quanto scritto da Lottieri, da Bassani, da me e tanti altri in decenni ormai di lotta indipendentistica. Un “quid novi” che è di lacrime e sangue, di carne e non di carta. Ma ben venga anche la carta. Le idee sono i motori del mondo. Occorre qualcuno però che metta la chiave nel cruscotto, e la giri. Occorre un atto di volontà per mettere in moto i muscoli. Lottare. E vincere.
Una nuova costituente per liberare le “Italie”, di Emanuele Boffi, «Tempi», 15 luglio 2020.
Mille giorni senza che accadesse, di fatto, nulla. Tanti ne sono passati dal 22 ottobre 2017, giorno del referendum sull’autonomia in Lombardia e Veneto. Per protestare contro il silenzio calato sulla vicenda e sull’immobilismo delle amministrazioni leghiste nelle due regioni, l’Assemblea nazionale lombarda e quella veneta hanno organizzato per il 18 luglio due manifestazioni, una Milano e l’altra a Venezia.
Il filosofo e scrittore Carlo Lottieri, che manda in questi giorni in libreria il volume Per una nuova Costituente. Liberare i territori, rivitalizzare le comunità, spiega a tempi.it che si tratterà di una doppia manifestazione «senza simboli di partito ma solo con le bandiere di san Marco e san Giorgio. L’iniziativa ha certamente uno spirito polemico sia nei confronti degli ultimi tre governi, che nulla hanno fatto per mettere in pratica l’autonomia, ma anche nei confronti delle amministrazioni leghiste di Lombardia e Veneto». Quando al governo c’erano «anche loro – nota Lottieri – s’è visto quali fossero le priorità di Salvini. Al di là di tante parole, nulla è stato fatto».
Italia – Italie
A proposito di Regioni. C’è un altro anniversario che è caduto in questi mesi: il 7 e 8 giugno 1970, infatti, gli italiani votarono per la prima volta per le Regioni a statuto ordinario. Sono passati 50 anni, è l’occasione per fare un bilancio. «C’è una storia che non si può cancellare – dice Lottieri, grande esperto di federalismo – e che ci dice che più che l’Italia «una e indivisibile» come dice l’articolo 5 della Costituzione esistono le “Italie”. Il nostro è un paese complesso, diverso, ed è in questa sua “diversità” che sta la sua vera ricchezza che, purtroppo, uno Stato costruito sul modello francese ha cercato e cerca ancora oggi di soffocare, impedendone lo sviluppo». Da questo punto di vista, spiega il professore, «la grande accusa che si può fare alle Regioni è di essere diventate, anziché motore di sviluppo e ascolto dei territori, dei centri di spesa de-responsabilizzate». Oggi per rilanciarle servirebbe, appunto, più autonomia affinché si abbatta definitivamente il totem di una concezione che «vuole regole generali uguali per tutti, imposte a tutti nella stessa maniera, quando invece, e lo abbiamo visto benissimo in questi mesi di emergenza coronavirus, esistono situazioni diverse da regione e regione ed è giusto che si prendano provvedimenti diversi a seconda di situazioni diverse».
l manifesto
Appunto, tutto il contrario (o quasi) di quanto accaduto in questi mesi: Italia in lockdown da Bergamo a Palermo. E se il Covid-19 fosse l’occasione per ripensare la nostra Italia? È per questa ragione che Lottieri insieme ad altri ha dato vita a un Manifesto per una “Nuova costituente”. In estrema sintesi, il proponimento dei firmatari è quello di «liberare i territori e di metterli in competizione tra loro. Questo attraverso una Convenzione composta da delegazioni territoriali che arrivi a elaborare un documento che poi sia fatto votare dalla popolazione». Il modello di Stato che Lottieri ha in mente è la Svizzera, su cui ha scritto anche un bel libro, dove, spiega, «la democrazia diretta esiste veramente. La gente viene responsabilizzata, fatta votare, in modo consapevole, su tutto. Si ragiona e si vota su questioni concrete».
Una Costituente dei territori
Lottieri, che non è uno sprovveduto, sa benissimo che la proposta del Manifesto contiene molti elementi che potrebbero essere derubricati a “provocazione intellettuale” e pur tuttavia fa notare che «dopo quanto accaduto con il Covid, questa “provocazione intellettuale” è un meno astratta di quanto si pensi. Gli abbiamo visti tutti i dati secondo cui siamo un paese con più pensionati che lavoratori, no? Tutti sappiamo che siamo un paese con un debito pubblico altissimo, con zone ad alta disoccupazione e un sistema produttivo in ginocchio. Quanto può andare avanti un sistema del genere? Quindi il nostro impegno – in questi mesi ci stiamo dando da fare per far emergere a livello territoriale quelle forze che condividono le nostre preoccupazioni – è di dare vita a questa Costituente dei territori».
Le energie del Sud
Domanda banale ma inevitabile: e il Sud? Se c’è un territorio che in questi anni si è dimostrato scettico se non ostile a qualsiasi discorso di “differenziazione” è proprio il nostro Meridione. «Questo perché – spiega Lottieri – si è data una lettura del federalismo in termini “oppositivi”. Il Nord “contro” il Sud. Ma se c’è un territorio che ha pagato questa “non scelta federalista” è proprio il Meridione. Io ricordo sempre che la Romania, un paese che ha vissuto la dittatura di Ceausescu, ha ormai superato il Pil del nostro Sud». Come si spiega questo sorpasso? «Si spiega col fatto, appunto, che il Mezzogiorno è da anni ingabbiato in una logica assistenzialistica che lo soffoca. Lo sanno tutti, ma nessuno fa niente anche, secondo me, per un problema quasi “psicologico” di una lettura del Meridione ormai solo come problema, grattacapo, peso».
Un nuovo protagonismo dei territori farebbe un gran bene al Sud. «Perché non dobbiamo credere che la patria di Giambattista a Vico possa trovare in sé le intelligenze e le energie per rinascere?». È vero che un secolo e mezzo di Stato accentratore ha portato a cementificare in un’immagine negativa il nostro Meridione «e tuttavia noi siamo convinti che anche lì ci siano tante energie che vanno solo liberate. Quante storie di successo di italiani originari del Sud ci sono in giro per il mondo? Tantissime. Perché dovrebbero essere possibili solo all’estero?».