Il ciclone politico-giudiziario che ha sconvolto il nostro Paese durante l’ultimo decennio, nel mettere a nudo l’oceanica profondità della corruzione, ha anche rivelato aspetti paradossali e allarmanti della giustizia italiana: un ingranaggio inefficiente e pigro che, all’occasione, si rivela sollecito e terribile quando sottopone al calvario processuale cittadini innocenti, usa il carcere preventivo per ottenere confessioni e delazioni, condanna alla gogna gli indagati. Un ingranaggio che può essere usato per stritolare nelle sue maglie gli avversari politici e i loro partiti.
Tali aberrazioni non possono imputarsi solo alla faziosità politica o al delirio di onnipotenza di alcuni magistrati, ma hanno radici nella legislazione e nella cultura giuridica che le rendono possibili.
L’analisi di Giancarlo Bagarotto – tanto più significativa in quanto “autoanalisi” di un alto magistrato che ha vissuto dall’interno i problemi della giustizia – esplora le cause prossime e remote dell’attuale crisi e delinea un progetto fortemente innovativo che coniuga l’indipendenza del giudice con l’efficienza della giustizia, scardinando gli inveterati tabù dell’autogoverno del Csm e della carriera dei magistrati.